giovedì 31 dicembre 2020

Meditazione al termine dell'anno del Signore 2020

 Commento alle letture che mi hanno guidato in questa meditazione.

Nel brano del Siracide, libro che ha accompagnato la nostra comunità e diocesi nei mesi scorsi, abbiamo trovato la presentazione di un uomo ricco che accumula e pensa ai suoi beni, ma non al senso della sua vita.  Somiglia al personaggio di una famosa parabola di Gesù che, dopo aver riempito riempito i suoi granai, immagina di godersi la vita che invece gli sarà tolta in quella stessa notte. Notate che, secondo il Siracide egli non è stolto per aver lavorato e risparmiato, ma per la sua  smemoratezza: Nel tempo della prosperità si dimentica la sventura, e nel tempo della sventura si dimentica la prosperità. 

Al capitolo 18 Siracide riprenderà il tema nella forma di un memorandum che mi sembra attuale rileggere concludendo questo anno solare: “Ricòrdati della carestia nel tempo dell'abbondanza, della povertà e dell'indigenza nei giorni della ricchezza. Dal mattino alla sera il tempo cambia,tutto è effimero davanti al Signore”. Un’indicazione assai apprezzabile anche per noi oggi, utile per non abbatterci nella sventura. 

La daranno forma grandi maestri della vita spirituale, in particolare Sant’Ignazio di Loyola nelle sue “Regole per il discernimento degli spiriti”:

10. - Una persona che si trova nella consolazione dovrebbe pensare a come si condurrà nella desolazione che seguirà, e costruire così una forza nuova per quel periodo.

8. Chi si trova nella desolazione deve sforzarsi di perseverare nella pazienza, che è contraria alle vessazioni giunte su di lui. Dovrebbe anche considerare che presto la consolazione tornerà, e lottare con diligenza contro la desolazione.


Tutti noi ci siamo trovati ad affrontare la desolazione di un anno che, segnato dalla pandemia di Coronavirus, ha segnato le nostre vite in tantissimi aspetti. Purtroppo il Covid ha contagiato più di due milioni di connazionali. Già si calcola che il numero di italiani defunti nel 2020 aumenterà di almeno 85.000 unità rispetto agli ultimi anni, superando i 700.000, il dato più alto dalla seconda guerra mondiale. E aggiungo, per conoscenza, che nella nostra parrocchia non ci sono mai stati così pochi battesimi dal 1942, quando, appunto, si era in guerra.

Per questi e per per altri motivi più personali, probabilmente da tempo aspettavamo solo di chiudere un anno che è difficile non giudicare nefasto. Ma prima di terminarlo, con la speranza di rinascere, ricostruire e rivivere, fermiamoci per un momento di riflessione su quanto accaduto. L’anno che è passato ci ha ricondotto drammaticamente alla coscienza del limite, e del nostro limite più strutturale e insuperabile: siamo mortali.E questo è stato per noi uno shock.

Bisogna riconoscere che la nostra cultura tecno-consumistica, ottimistica, sicura di sé, indifferente nei confronti di ogni esitazione e dubbio, preoccupata, sembrerebbe, solo della ricerca del “proprio benessere”, celebra con insistenza il superamento dei limiti senza tuttavia rispettare il limite: non bisogna fermarsi mai, bisogna ogni volta andare oltre e puntare più in alto, bisogna incrementare consumi e conoscenze senza mai domandarsi: a quale scopo?


Invece nella visione biblica, magistralmente espressa nel salmo 90, il limite non è un’imperfezione da superare o cancellare, ma la nostra sostanza umana, il nostro essere polvere nelle mani di Dio. Solo il peccato ci impedisce di vedere la verità del nostro essere creati dalla polvere, e ce lo fa percepire come limite tragico e negativo. 

Siamo disposti a riconciliarci con il nostro essere limitati?


Di fronte al nostro limite scegliamo di fare la cosa più saggia e più grande possibile: riconsegnare la nostra vita al Creatore. Con le parole di Ignazio; Prendi o Signore, e accetta tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto, la mia volontà, tutto quello che ho e possiedo. Tu me lo hai dato, a te, Signore, lo ridono.

Con le parole del fratello universale Carlo de Foucauld: Padre mio, io mi abbandono a te, fa di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me, Ti ringrazio. Affido l'anima mia alle tue mani, Te la dono mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore perché ti amo, ed è un bisogno del mio amore di donarmi, di pormi nelle tue mani senza riserve     con infinita fiducia     perché Tu sei mio Padre.

Sono parole che rinnovano in epoca moderna la profondissima preghiera con cui Gesù nell’ultima sera si è affidato al Padre e ha messo anche noi per sempre nelle mani del Padre celeste. La vera sapienza è stare consapevolmente dentro questo corrente d’amore e arrivare a dire: “Prendi, Signore e ricevi, perché tutto è tuo, per quanto breve o lungo sia, perché questo è il senso della vita”. Riconsegnare al Signore, rimettere tutto nelle sue mani è il miglior investimento che possiamo farne.

Infine un proposito. Al termine di quest’anno non è più sufficiente riporre fiducia nelle conquiste umane, “nella carne” ci ha detto San Paolo, del quale ammiriamo e raccogliamo stasera il desiderio della perfezione cristiana. Insieme a lui invochiamo la grazia di non correre più da soli, in competizione con gli altri, pensando di salvarci a scapito dei più deboli, ma ci ricordiamo che siamo tutti discendenza di Adamo, e, come ha scritto, “Dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo”. Dove la parola importante è “insieme”: fratelli tutti!

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