venerdì 3 febbraio 2023

Ermanno Besani, pietra d'inciampo

Da oggi una nuova pietra d’inciampo viene posizionata all’ingresso del plesso scolastico di via Cortina in ricordo di Ermanno Besani, partigiano ucciso in campo di concentramento nel 1954.

Questa pietra può essere d’inciampo, ma soprattutto una benedizione. Infatti, l'artista tedesco Gunter Demnig vent’anni fa le ha pensate e create a partire da un’immagine biblica dell’Antico Testamento. 
Anche gli apostoli paragonarono Gesù Cristo alla pietra d’inciampo. 
Gesù è la pietra d’inciampo per il religioso troppo sicuro e orgoglioso della sua santità e giustizia. 
Gesù è la pietra d’inciampo per il ricco che interpreta il suo benessere come una benedizione e disprezza il povero. 
Gesù è la pietra d’inciampo per chi si nutre d’odio attraverso slogan e pubblicazioni social. 
Gesù è la pietra d’inciampo per il benpensante che si trincera dietro il “non faccio male a nessuno” o “ vivi e lascia vivere”, per fregarsene di tutto quello che lo circonda.
E certamente Gesù, l’ebreo Gesù, è una pietra d’inciampo per le chiese e i credenti che con la loro intransigenza oppure con l’indifferenza si sono dimenticati del suo messaggio, che invita a fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te, non solamente ad astenersi dal fare il male.

Lo scorso 19 gennaio il comune di Castiglione Olona ha insignito della cittadinanza onoraria il partigiano Ermanno Besani, cui è dedicata la pietra d’inciampo che oggi deponiamo. Una nuova pietra d’inciampo, benedizione per la nostra vita, spesso troppo inconsapevole. 
Pietra d’inciampo di cui abbiamo più che mai bisogno oggi, per ammonirci silenziosamente mentre parole come guerra, omicidio, violenza, razzismo sono tornate a travagliare l’umanità.

La pietra scartata è diventata testata d’angolo, è questa l’opera meravigliosa del Signore (Sal 118). Come mostra la storia dell’antico Israele “pietra scartata” quanto Gesù, Dio ha un debole per “gli scarti” prodotti dalla nostra “civiltà”.  
Oltre che la memoria, la pietra simbolica che deponiamo contiene la speranza per chi si sente anche oggi inadeguato e scartato: Dio viene incontro a coloro che sono emarginati per un motivo o un altro, per iniziare un mondo nuovo e fraterno. Che i nostri ragazzi ne siano protagonisti consapevoli.

domenica 22 gennaio 2023

Tutti mangiarono e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste

La prendiamo da lontano, molto lontano. 

Qual è il primo segno di civiltà in una cultura? Armi? Pentole di terracotta, macine di pietra?

1) I primi ominidi cominciarono a scheggiare pietre e a produrne delle punte taglienti, delle frecce con cui incidere la carne di animali o altri simili, le usavano per difendersi e per aggredire. Secondo molti la cultura nasce con la guerra, la forza, le armi, con la necessità di salvare se stessi prendendo il sopravvento sugli altri. Cfr. la prima epica scena di 2001 Odissea nello spazio: un primate, appena diventato cosciente afferra un osso e colpisce con violenza resti di altri animali.

2) A un certo punto ho trovato un’altra possibile risposta: l’orientamento verso il cesto. Alcuni studiosi francesi pensano che l’intreccio tessuto di uno strumento per raccogliere i frutti diede agli uomini primitivi, cacciatori e raccoglitori, un vantaggio strategico sugli animali.  Ora non erano più costretti a mangiare il cibo in loco e immediatamente, ma potevano trasportare con sé quanto raccolto. L’azione di raccogliere in un cesto porta con sé un’intenzione di futuro.

Intermezzo. Una parola non tradotta: la radice da cui deriva la parola “omer” indica l’ammucchiare, il compattare, in forma riflessiva significa esercitare violenza.  Indica un mucchietto di cereali raccolti e, per traslato la misura delle necessità quotidiane.

Questa misura introduce un limite  rispetto alla violenza del più forte che accaparra le risorse (tentazione atavica). Ci può essere un raccogliere che porta all’accumulo ingiusto. Infatti, chi ha il deposito più grande potrebbe accumulare tutto per sé, come Paperon de Paperoni. Es 16, invece, presenta una visione idilliaca, ma che vuole dare un’indicazione valoriale, approfondita anche da Paolo: “non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza” (2Cor 8). 

3) L’antropologa Margaret Mead dà una risposta sorprendente: un femore rotto e poi guarito è l’indizio della civiltà umana.Spiegò che nel regno animale se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare del cibo. Sei carne per bestie predatrici, che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. 

La cura dell'altro nelle difficoltà è individuata come punto preciso in cui la civiltà inizia. 


“La vostra abbondanza supplisca la loro indigenza” Ci ammonisce san Paolo. 

Chissà cosa fecero i discepoli dell’abbondanza della misura di Dio, il vangelo non ci dice se conservarono le ceste avanzate per la colazione dei giorni seguenti (12, una per ciascuno) o se, con cuore lieto, le hanno offerte ad altre persone incontrate in seguito. 

Ma più importante delle curiosità circa la loro destinazione, è la domanda su cosa intendo fare io dei beni che possiedo: accumulare o prendersi cura dell’altro?

Omelia terza domenica dopo l'Epifania, anno A.