lunedì 24 dicembre 2018

Omelia della vigilia di Natale 2018. Rito Ambrosiano

Le letture di questa sera ci parlano di quattro uomini che stanno per avere un figlio: Abram, Elkanà, Acaz, Manòach.
Ma ciascuna delle loro vite si trova di fronte a un bivio complicato, sanno per qualche motivo che non possono avere un figlio, oppure l’annuncio che ricevono della sua prossima nascita è qualcosa di totalmente inaspettato, per certi aspetti inspiegabile e frutto dell’iniziativa unilaterale di Dio.
Sanno quindi di non essere loro gli autori della vita in arrivo, accettano di non esserne padroni e la ricevono come un dono inaspettato. Ma non sono neppure semplici spettatori, perché sono chiamati a una professione di fiducia totale nel Dio della vita, e ad una accoglienza reale e profonda della sua volontà di aprire un nuovo cammino di futuro, di speranza, di salvezza a partire dalla nascita annunciata.
Anche Giuseppe, così come ci è presentato nel Vangelo di Matteo si trova in una situazione simile.
Chiamato ad accogliere e custodire il mistero sublime della vergine che darà alla luce l’Emmanuele, il Dio con noi.
Giuseppe è invitato a non temere, a vincere tutte le sue paure e titubanze di fede per diventare partecipe del progetto di Dio, con un compito specifico: quello di dare il nome di Gesù al Figlio che sta per nascere, il nome del Salvatore: “Dio Salva”.
Egli viene in effetti per essere il Salvatore del mondo, tema del nostro avvento: “Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio”.
Tuttavia in questo momento, in questa ora palpitante, i confini della terra rimangono distanti. Sono pervasi da un tempo di attesa, ma sembrano ancora lontani dalla pace.



Giovanni Paolo Secondo, Natale 1978: “Ciò che accade nella stalla, nella grotta di roccia ha una dimensione di profonda intimità: è qualcosa che avviene “fra” la Genitrice e il Nascituro. Nessuno dall’esterno vi ha accesso. Perfino Giuseppe, rimane testimone silenzioso. Lei sola è pienamente consapevole della sua Maternità. E solo lei capta l’espressione propria del vagito del bimbo. La nascita di Cristo è innanzitutto il suo mistero, il suo grande Giorno. È la festa della Madre…
Il Figlio di Dio che si è fatto carne (Is 1,14), si rivela in quel corpo come uno di noi, piccolo infante, in tutta la sua fragilità e vulnerabilità. Soggetto alla sollecitudine degli uomini, affidato al loro amore, indifeso. Vagisce, e il mondo non lo sente, non può sentirlo. Il vagito del bimbo neonato può udirsi appena a distanza di qualche passo”.
Proviamo anche noi, come Giuseppe ad avvicinarci silenziosamente per ascoltare i primi vagiti del Figlio che Nasce. Noi lo possiamo fare colmando questa liturgia con la profondità, l’ardore, l’autenticità di un intenso sentimento interiore. La liturgia del Natale è ricca di un particolare realismo. Tutti, infatti, siamo profondamente emozionati e commossi, benché ciò che celebriamo sia avvenuto circa duemila anni fa.
Per avere un quadro completo della realtà di quell’evento, per penetrare ancor più nel realismo di quel momento e dei cuori umani, ricordiamoci che ciò è avvenuto così come è avvenuto: nell’abbandono, nell’estrema povertà, nella stalla-grotta, fuori della città, perché gli uomini, nella città, non hanno voluto accogliere la Madre e Giuseppe in nessuna delle loro case. Da nessuna parte c’era posto. Sin dall’inizio, il mondo si è rivelato inospitale verso il Dio che doveva nascere come Uomo.

Pensiamo quindi, all’inizio di questa notte, anche a tutti gli uomini che cadono vittime dell’umana disumanità, della crudeltà, della mancanza di qualsiasi rispetto, del disprezzo dei diritti oggettivi di ciascun uomo. Forse tanti piccoli problemi non ci sembreranno più così importanti. Pensiamo a coloro che sono soli, anziani, ammalati; a coloro che non hanno una casa, che soffrono la fame, la cui miseria è conseguenza dello sfruttamento e dell’ingiustizia dei sistemi economici. Pensiamo anche a coloro, ai quali non è permesso, in questo Natale, di partecipare alla liturgia della Nascita di Dio, o che non hanno un sacerdote che possa celebrare la Messa. E andiamo col pensiero anche a coloro, le cui anime e coscienze sono tormentate non meno che la loro fede.
Ecco, in sintesi, la celebrazione liturgica ci introduca nella profondità della comunicazione di Dio alla nostra povertà umana, ci permetta di ascoltare, come Giuseppe e Maria, i primi vagiti del Salvatore, e ci apra, con essi, alla considerazione stupita che questo bambino inerme è colui che è venuto a radunare tutte le genti e a togliere ogni forma di esclusione.

Buon Natale dalle genti e per le genti!

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