sabato 25 aprile 2020

Discorso del 25 aprile, 75mo anniversario della Liberazione

La diffusione della pandemia covid19 mette in una prospettiva inedita questo anniversario: ci troviamo a celebrare la memoria di molte persone che hanno creduto così tanto nei valori della libertà, della vita, della coesione sociale, da mettere a repentaglio e da sacrificare le loro stesse esistenze. Un coraggio che contiene fiducia nel futuro, negli altri, nella capacità delle persone umane di combattere il male e di diffondere la forza dell’amore è proprio quanto ci serve oggi, 25 aprile 2020, per affrontare un’altra non meno drammatica emergenza.

La memoria di quello che è stato, in particolare degli eventi e delle vicende che hanno dato una svolta alla storia di un popolo, è una responsabilità che si deve sempre esercitare. E anche in condizioni estreme come quelle che viviamo quest’anno, siamo venuti a COMMEMORARE, pur in un modo del tutto inusuale, sconcertante e, certo, anche desolante.

Mi associo volentieri alle autorità civili, alle associazioni coinvolte e porto qui la testimonianza della comunità cattolica che, insieme con molte componenti della società italiana, ha contributo alle vicende della liberazione e all’evento del 25 aprirle, con l’intelligenza, l’eroismo, il drammatico prezzo di sangue che è documentato e che merita di essere più comunemente conosciuto, riconosciuto e condiviso.

Come cristiano mi interrogo su che cosa significhi la memoria e la nostra responsabilità di custodirla oggi e sempre. La memoria degli eventi, delle vicende e delle persone che hanno pagato il prezzo più alto può essere celebrata come condivisione di una speranza, come la fiducia in una promessa. La celebrazione di una promessa è la memoria che io, come parroco di questa città, come cristiano di questo paese coltivo. Uomini e donne della resistenza hanno creduto a una promessa, hanno compiuto le loro imprese, hanno sofferto e rischiato, hanno pagato con la vita la speranza di un paese libero, di un popolo unito da valori condivisi e liberamente scelti. Hanno creduto a una terra promessa e perciò non si sono rassegnati a una terra di schiavitù. Sento quindi la responsabilità di celebrare la memoria dei martiri della resistenza come memoria di una promessa.

Vorrei che da questa memoria drammatica e attuale fiorisca la SPERANZA e non solo l’ottimismo.
E vi condivido le mie speranze di oggi:
- spero che non tutto ritorni come prima, che invece di dare priorità alle forme e agli eventi sociali, ci prendiamo cura del nostro spirito, dei nostri affetti e, soprattutto, delle persone più fragili. (approfondimento)
- Spero che non torniamo a inquinare e zittire la natura intorno a noi, ma che tutti ci prendiamo cura del mondo, “nostra casa comune”, ascoltandone il lamento. (approfondimento)
- Spero che l’annunciata riapertura del commercio statale dell’azzardo non preceda quella delle biblioteche, dei musei e delle scuole. (approfondimento)
- Spero che nel futuro prossimo della nostra città ci sia spazio per una cura amorosa dei nostri anziani, e che non siano più costretti a cercare residenze lontano da dove hanno sempre vissuto. (drammatica testimonianza)
- Spero di non dover più onorare medici, infermieri e volontari come eroi, ma che stato e regioni diano alla sanità pubblica il posto e le risorse che le spettano. (approfondimento)
- Spero che la difesa dei cittadini si concretizzi in un Corpo Civile finanziato non da elemosine dei benintenzionati, ma da risparmi sugli acquisti di armamenti. (approfondimento)

Non ditemi che sono queste utopie o “belle parole”, ma prendiamoci l’impegno di interessarci a questi argomenti ed esigere, da cittadini attivi, che questi capitoli non restino negletti. Almeno non ditemelo oggi, mentre onoriamo la gente che ha lottato per la libertà, e ha creduto nella speranza.
Ecco: prendiamo coraggio per essere popolo in cammino, per essere fratelli e sorelle, in questa nostra città, in questo nostro stivale, in questo mondo messo alla prova, ma sempre bellissimo.

Concludo, infine, recitando una parte de “la Preghiera del Ribelle” di Don Giovanni Barbareschi, prete diocesano e partigiano, presbitero Aquila Randagia:

“Dio che sei verità e libertà, facci
liberi e intensi: alita nel nostro proposito,
tendi la nostra volontà. Quanto più s’addensa e
incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti.
Ascolta la preghiera di noi ribelli per amore”.

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