domenica 5 novembre 2017

Prima giornata mondiale dei poveri

“Non amiamo a parole ma con i fatti”

Questa frase della prima lettera di Giovanni, introduce la nostra riflessione in questa prima Giornata Mondiale dei Poveri istituita da Papa Francesco al termine del Giubileo della Misericordia, come prosecuzione permanente di quell’evento straordinario.
La diocesi di Milano celebra questa giornata nella Solennità di Cristo Re e Giornata diocesana della Caritas, che quest’anno è il 5 novembre, in anticipo di due domeniche rispetto al rito Romano, per non sovrapporla all’Avvento.
San Francesco d’Assisi con la sua coraggiosa scelta di stare con i poveri facendosi uno di loro, ci indica la vera strada che siamo chiamati a percorrere come singoli e come Chiesa.
L’obiettivo sta nell’incontro personale con i poveri, nella condivisione con loro, in uno stile di vita che tenda loro la mano, li sappia guardare negli occhi, per uscire dalle nostre certezze e aprire le orecchie per ascoltarne il grido.
Per questo la nuova giornata è occasione per andare incontro ai poveri, per invitarli nella nostra comunità e nella nostra casa, non solo come persone bisognose ma come fratelli che ci possono accompagnare nella crescita come cristiani e come uomini, senza dimenticare che al fondamento di ciò sta sempre la preghiera, specialmente quella del Padre Nostro che è la preghiera dei poveri.


Anche l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ci ha richiamati alla fraternità “che non nasce da vincoli di sangue o da consuetudini condivise ma dall’essere figli dell’unico Padre” e rende possibile quella cultura dell’incontro che tanto sottolinea papa Francesco. L’arcivescovo invita la comunità diocesana “a visitare la povertà e a custodire la speranza” con quello sguardo di fede che riconosce nella gloria del Signore “il suo amore che rende capaci di amare”.

A questo proposito lasciamoci ora toccare dalle parole dello scrittore Antonio Moresco, tratte dalla prefazione del suo libro “Fiaba d’amore”:
… C’è intorno a noi un popolo silenzioso e sempre più vasto che non vediamo anche se è sotto i nostri occhi, di cui ignoriamo la provenienza, un popolo venuto in mille diversi rivoli chissà da dove, che ha vissuto chissà quali vite prima di abbattersi sui nostri marciapiedi. Coricati sulle panchine o sui cartoni, con le loro corolle di sacchetti delle immondizie e di stracci, avvolti dalle loro coperte infittite e nel loro fetore, gli appartenenti a questo popolo ci guardano passare muti, come se ci vedessero da enormi distanze.
Li sorprendiamo certe volte mentre frugano nei cestini delle immondizie o mentre camminano tra la folla con una bracciata di cartoni da imballaggio, in silenzio, oppure parlano da soli. Sono come i corpi gettati a riva dalla risacca della crisi che crea sempre nuovi poveri, dalle conseguenze di meccanismi economici e finanziari spietati e fuori controllo che passano come nuvole di cavallette sul mondo e attraversano e devastano anche le singole vite, dalle nuove immigrazioni di popoli, dal dolore che accompagna spesso le relazioni umane, personale e familiari, in un Paese sempre più incattivito e incapace di invenzione e di trascendenza…

Il 4 e il 5 novembre troveremo davanti all’altare la foto di “Homeless Jesus” (Gesù senzatetto): è una scultura in bronzo dell’artista canadese Timothy Schmalz, cattolico devoto, che rappresenta Gesù come un senzatetto che dorme sulla panchina di un parco. Il suo volto e le sue mani sono nascoste sotto una coperta, ma le ferite della Crocifissione sui suoi piedi rivelano la sua identità. Esistono 40 copie al mondo e una di queste è a Roma fuori dagli uffici papali della Caritas. È una scultura provocatoria e l’artista quando si recò in Vaticano per donarne al Papa una versione in miniatura, così descrive la sua reazione: “Si avvicinò alla scultura, quasi rabbrividì nel toccare le ginocchia e i piedi, chiuse gli occhi e pregò”.

Elisabetta Assisi e Paola Difonzo, per Centro d'ascolto Agape

1 commento:

  1. «Quante volte incontriamo un povero che ci viene incontro. Possiamo anche essere generosi con lui e avere compassione, ma di solito non lo tocchiamo, gli offriamo una moneta ma evitiamo di toccargli la mano, dimenticando che quello è il corpo di Cristo». Papa Francesco, udienza generale in piazza San Pietro in cui ha commentato la guarigione di un lebbroso da parte di Gesù.

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