lunedì 30 dicembre 2013

Storia della raffigurazione della croce e del crocifisso. Prima e dopo Costantino

LA CROCE PRIMA DI COSTANTINO
La condanna a morte per crocifissione era una pratica largamente diffusa nell’ambito dell’impero romano, tristemente nota per le indicibili sofferenze cui sottometteva il condannato: legato o inchiodato al palo di legno con le membra stese fino al sopraggiungere della morte, tra spasmi e arresti respiratori dovuti alla difficoltà di circolazione sanguigna. Il condannato doveva portare fino al luogo dell’esecuzione il proprio palo (patibulum). Lungo il percorso veniva deriso, flagellato, percosso, ma la morte doveva avvenire in croce.
Sono attestati due tipi di croce:
  1. - Croce commissa: un palo verticale sormontato da uno orizzontale in forma di T maiuscola 
  2. - Croce immissa: palo orizzontale a ¾ del verticale. Così, in cima si poteva appendere il “titulum” con la descrizione della colpa, che nel caso di Gesù non fu possibile precisare se non in un motto dettato dall’ironia di Ponzio Pilato: INRI Jesus Nazarenus Rex Judaeorum. La croce immissa sarà la tipologia più diffusa in ambito latino e presterà la sua forma anche alla pianta basilicale più nota in occidente. 
Il cadavere del crocifisso spesso non era neanche restituito ai parenti e restava appeso per giorni come monito per la popolazione. I cittadini romani erano esclusi da questa pena che era riservata a schiavi e atroci assassini, ma non di cittadinanza romana. Fu sicuramente anche per il carattere infamante di tale punizione che il mondo romano fino al IV secolo guardò con sospetto la religione cristiana: l’idea di un “Dio Crocifisso” semplicemente faceva rabbrividire e suscitava disgusto.



Si spiega così il cosiddetto Graffito di Alessameno, su intonaco secco, prima metà del III secolo, oggi conservata nell’Antiquarium del Palatino. Scoperto nella casa degli Araldi, o pedagogium, una specie di scuola per paggi di corte, figli di schiavi. Tre elementi - uomo crocifisso con testa di asino - uomo adorante - scritta in greco ALEXAMENOS SEBETE THEON (Alessameno adora il suo Dio) La prima rappresentazione di Cristo crocifisso è un caso di satira religiosa: non solo un Dio in croce, ma con la testa d’asino. Da far notare che secondo Cornelio Tacito il Dio degli Ebrei era da immaginare come un uomo togato con la testa d’asino. C’è ancora una certa confusione tra cristianesimo ed ebraismo e uno sguardo pieno di disprezzo persecutorio nei confronti dei cristiani.

Nei primi tre secoli non troviamo rappresentazioni del crocifisso da parte dei cristiani e anche molta reticenza a raffigurare la croce stessa. Si ricorreva invece ad altri simboli: pani, ancore, barche, pesci. Il simbolo più importante e diffuso era il pesce. Il termine Ichthus in greco è l’acrostico di Iesoús Christós Theoú Uiós Sotér (Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore). In quell’epoca entrò in voga l’utilizzo della crux dissimulata ovvero il ricorso a oggetti o lettere che ne richiamassero la forma. Guardiamo per esempio a un graffito delle catacombe di san Sebastiano a Roma sulla via Appia (II sec.): parola greca Ichtus è inframmezzata dalla lettera T, chiaro riferimento alla croce. 

L’ancora cruciforme, come nell’epitaffio di Antonio, iscrizione su marmo, III sec, Chiesa santi Nereo e Achilleo, Roma. I due pesci affrontati e collegati alla barra orizzontale dell’ancora significano che Gesù Cristo è la loro salvezza.

Tuttavia, nelle catacombe è possibile anche trovare in epoca precostantiniana diverse semplici incisioni della croce, come quella dell’epigrafe di Rufina Irene delle catacombe di San Callisto, III sec. Si tratta di manufatti estremamente semplici con palese intento devozionale.

COSTANTINO INAUGURA IL TEMPO DELLA TOLLERANZA E LA DIFFUSIONE DEL SIMBOLO DELLA CROCE

All’indomani della battaglia di Ponte Milvio Costantino parlò del Cristogramma che gli era apparso in sogno “In hoc signum vinces” e ne fece il suo vessillo (labaro costantiniano). Grazie poi all’editto di Milano del 313, inizia la vera libertà di culto, cui fece seguito l’immediata libertà di rappresentazione dei propri simboli salvifici. Il XRISMON e lo staurogramma (Staurós X verticale che diventa una vera e propria croce) Siamo passati dal buio delle catacombe al cielo stellato. (Napoli, battistero di san Giovanni in Fonte, 360-400, Alfa e Omega cfr,. Ap 1,8)
Questi simboli devono la loro veloce propagazione a Costantino, pur essendo a lui precedenti.
Annotiamo anche la grande diffusione del Chrismon  al centro dei sarcofagi a rappresentare Cristo risorto. I personaggi attorno sono gli apostoli. Cambiano i personaggi, ma lo stile artistico è lo stesso dei sarcofagi romani precedenti. Però in questo passaggio si è consolidato l’utilizzo del simbolo della croce, mentre solo con il tempo si potrà costruire un nuovo linguaggio figurativo.

SANTA ELENA: L’INVENTIO CRUCIS E LA CROCE GEMMATA
Elena, madre dell’imperatore Costantino, ormai ottuagenaria fece un pellegrinaggio a Gerusalemme tra il 325 ed il 326 alla ricerca del Golgota e della Vera Croce di Cristo. Tra il 325 ed il 335 furono innalzati numerosi edifici che andarono a comporre il complesso del Santo Sepolcro. La tradizione vuole che Costantino abbia deposto sul Golgota una croce gemmata: oro e pietre preziose a significare la vittoria sulla morte. L’immagine di una grande croce gemmata comparirà verso alla fine del IV secolo nel catino absidale della chiesa di Santa Pudenziana a Roma. Il mosaico ha come sfondo la rappresentazione del complesso del Santo Sepolcro sovrastato da una grande croce gemmata. Così il crudele patibolo è ormai diventato una preziosa promessa di eternità.

DALLA CROCE AL CROCIFISSO
Nel clima di libertà per tutte le religioni generato dall’Editto di Milano si diffondono anche le prime rappresentazioni del volto di Cristo in due tipologie principali: con barba (tipo sindonico) e senza barba (tipo apollineo), ma al principio manca il coraggio di rappresentarlo crocifisso, almeno fino all’abolizione di questo strumento di pena capitale da parte di Teodosio il Grande nell’editto di Costantinopoli del 392. La prima crocifissione, davvero eclatante e visibile a chiunque, viene realizzata prima del 530 sulla porta della basilica romana di Santa Sabina. Nel pannello ligneo in alto a sinistra è rappresentata la scena della crocifissione: la figura di Cristo si staglia fra due ladroni, notevolmente più grande rispetto ad essi. Dietro di loro un muro di mattoni (quello di Gerusalemme?) Le tre figure sono inserite in edicole a terminazione triangolare. I tre sono vestiti solo di perizoma, hanno il busto eretto, la testa sollevata e lo sguardo fisso; le gambe sono tese e non c’è traccia di sofferenza fisica. Prevale dunque un sentimento ottimistico nel raffigurare la crocifissione: un uomo vittorioso nei confronti del dolore fisico, con la testa diritta e il busto eretto.
Questa tipologia iconografica viene definita Christus Triumphans. Non c’è segno di sofferenza perché la croce è la porta dell’eternità, dove non c’è più spazio per il dolore e per la sopraffazione fisica.
Solo nel XIII secolo, sotto la spinta della predicazione francescana si umanizzerà il sacro per coinvolgere maggiormente i fedeli in un clima di umiltà e comincerà una nuova tipologia di crocifisso: il Christus patiens, (Vedi per esempio il crocifisso della basilica di san Domenico a Bologna, opera di Giunta Pisano 1254 circa) con il corpo incurvato sotto il proprio peso, con gli occhi chiusi, il volto contratto e livido per il dolore, le ferite sanguinanti.

Nessun commento:

Posta un commento